La terza rivoluzione industriale che sta trasformando il mondo,
quella dell’elettronica, a differenza delle prime due, quelle del
vapore e dell’elettricità, distrugge più posti di lavoro di quanti non
ne crea, soprattutto nei paesi industriali. Lo hanno scoperto da anni
gli istituti di ricerca più seria e i paesi più attenti, che hanno
reagito con politiche di redistribuzione del lavoro, riducendo le ore
annue lavorate per persona, puntando sulla qualità di merci e servizi,
il contrario di quanto fatto dai paesi meno attenti, tra cui Italia,
Grecia, Spagna. The Death of the Distance, la morte delle distanza,
secondo un felice prima pagina dell’Economist, significa che il costo di
spostamento di merci ed informazioni è crollato a livelli tali che il
prodotto fatto a Napoli è in concorrenza diretta con quello fatto a
Pechino e che l’innovazione prodotta a Tokio in poche ore può essere
realizzata a Milano.
Se si aggiunge il fatto che con la globalizzazione i tassi di
crescita dei paesi emergenti, quelli che partivano più in basso nella
corsa dell’economia, crescono da anni e continueranno a crescere per
anni, con velocità 3-4 volte superiori a quelle dei paesi industriali,
5%-6% contro 1%-2%, ecco spiegato perché, tra i paesi industriali, solo
quelli che da anni praticano politiche di redistribuzione del lavoro
sono riusciti a mantenere bassa la disoccupazione e soprattutto alti i
tassi di occupazione (quota di occupati sulla popolazione in età da
lavoro). Quest’ultima è la vera misura della situazione occupazionale di
un paese, mostrando il numero di persone, in età da lavoro, che
veramente lavorano. Talvolta il tasso di disoccupazione scende perché
disoccupati scoraggiati non cercano più
attivamente lavoro e,
statisticamente, passano tra gli inattivi, quelli che non studiano e non
lavorano. L’Italia è un esempio classico, avendo la più alta quota di
inattivi quasi 14 milioni pari al 35% della popolazione in età da
lavoro.
Per non farla troppo lunga, elencherò i paesi europei con tassi di
occupazione superiore al 70% e quelli con tasso di occupazione inferiore
al 60%. Si scoprirà che i paesi ad alta occupazione sono quelli che
hanno ridotto fortemente gli orari di lavoro negli ultimi 20 anni, a
differenza dei secondi. Germania e Francia sono i paesi che più di tutti
hanno ridotto gli orari annui di lavoro procapite (dati Ocse), passati
da 1800 del 1990 alle 1400 ore del 2012. Anche Norvegia ed Olanda
hanno oggi orari annui di 1400 ore, seguiti da Danimarca con 1500 ore,
Svezia e Finlandia con 1600 ore, Austria con 1700 ore. Tutti questi
paesi hanno bassa disoccupazione, tra 5% e 8% e soprattutto alti tassi
di occupazione dal 70% in su. Dall’altra parte ci sono Italia, Grecia e
Spagna con alta disoccupazione, bassi tassi di occupazione (inferiori al
60%) e lunghi orari di lavoro, che erano nel 2012, 2034 ore per la
Grecia, 1752 per l’Italia, 1686 per la Spagna. E questo avviene perché i
…Jobs Act di questi sfortunati paesi, guidati da incompetenti di
politiche del lavoro del XXI secolo, incentivano i lunghi orari e gli
straordinari mentre gli altri incentivano part time, orari ridotti e
eliminano gli straordinari come la Germania. Con le attuali politiche
del lavoro (e con crescite del Pil dello 0 virgloa, purtroppo, né
Poletti, né Renzi creeranno un sol posto di lavoro. Please, copiate le
buone pratiche di Germania ed altri paesi virtuosi.
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